Introduzione di Anna Nazzarena Nardini

Vincere Barbablù è una storia che è un romanzo come lo sono tante altre storie che ho incontrato nella mia ormai lunga esperienza lavorativa. Essa è distinta dal privilegio di essere raccontata con rara maestria dall’autrice, Maria Mirella D’Ippolito, cha ha avuto cura di mantenere e trasmettere quel senso di storia non propria ma regalata e fatta poi propria con profonda empatia.

Inizia descrivendo con straordinaria lucidità sensazioni profonde e dolorose, terrificanti e sconvolgenti, che sfociano nel tentativo di suicidio seguito dal risveglio dal coma dopo tre giorni.
Come e perché si era scatenato il dramma si comprende ripercorrendo la vita di Saturnia che sin dalla nascita affronta un groviglio di emozioni e di eventi legati alla storia familiare e alla relativa dinamica relazionale, nonché all’influenza dell’universo esterno in quel momento storico denso di mutamenti.
Sono trascorsi molti anni dal mio primo incontro con Saturnia ma il ricordo è vivissimo e come fosse ieri la ricordo fragile, esile, con i suoi occhi pieni di terrore. Accettai la sua confusione e la sua diffidenza con profonda empatia: era in piena crisi psicotica. Nonostante le condizioni fossero così sfavorevoli, qualcosa fece vibrare in Saturnia la tendenza attualizzante di Rogers. Nacque un rapporto particolarmente peculiare e flessibile caratterizzato da una intermittenza e una notevole discontinuità.

Saturnia era in una continua ricerca e io rispettavo le sue scelte, il suo allontanarsi e il suo tornare. C’era comunque un filo invisibile che confermava il nostro rapporto anche nei lunghi silenzi.
Aveva intrapreso il corso di laurea in Psicologia che si rivelò di grande significato nella sua vita. Iniziò un’analisi junghiana. L’accettazione, l’empatia, la trasparenza e l’autenticità erano la mia costante anche nei nostri incontri sporadici dove non mancava di riportare le proprie esperienze.
Ricordo un giorno, mentre mi diceva di sentire freddo al cuore, sentii un profondo dispiacere e Saturnia guardandomi negli occhi mi disse “Perché sei così triste?” “Perché sono preoccupata per te” risposi. Paradossalmente mentre si allontanava per entrare nel deserto di gelo era così sensibile da percepire la mia sofferenza. Paradossalmente anche ho percepito in quel momento un allargamento della coscienza, allargamento che, mi spiegò poi, “è la trappola, per seguirlo ti perdi”.
Dovevo essere congruente per essere in contatto con me, con il mio timore di fallire e quello del suo perdersi nel buio del suo cammino (crisi). Oscillando tra il dentro e il fuori dovevo pescare nel mio profondo per ritrovare la mia fiducia di base ed alimentare la speranza che la sua tendenza attualizzante la orientasse.
La notte che seguì l’incontro feci un sogno ancora indelebile: «Una grande pozza d’acqua con canne e giunchi come quelle che si formavano negli avvallamenti dei prati vicino al mare dove ho trascorso la mia infanzia. Nell’acqua vedo giocare una bimba e un cane. Improvvisamente come colti da malore li vedo annegare. Mi butto immediatamente in acqua, li afferro, li adagio sul prato. Rianimo la bimba con la respirazione bocca a bocca, per il cane, chiedendomi “come si rianimano i cani?”. Faccio vari tentativi e alla fine riesco a rianimare anche lui. Poi voglio scoprire cosa ha provocato il malore e mi accorgo che in un punto della pozza vi è una immissione di gas tossico. Poi vedo una bimba raccogliere un mazzo di giunchi e masticarne e succhiarne le polpose radici bianche».
Al risveglio avevo ancora quel sapore in bocca e mentre dal profondo saliva uno strano benessere ho rievocato l’incontro con Saturnia: il gas tossico ma anche la fiducia ritrovata. La fiducia che non è una certezza ma è ciò che rende efficace il cammino terapeutico. Così anche Saturnia doveva aver succhiato quelle radici bianche di quel giunco che affondava nella sabbia, attraversava l’acqua e andava verso il sole.
Infatti tornò dopo l’ultima crisi con una profonda depressione, spinta dell’inconscio come racconta nella storia, e da allora iniziò un rapporto costante che le permise di calarsi nel profondo, rivivere le emozioni e dare loro il senso. Poteva finalmente rimettere insieme i propri pezzi e illuminata dalla coscienza poteva rileggere la propria storia. In modo speculare nell’universo relazionale i rapporti cambiavano e si sviluppava la comprensione e l’amore.

Così infine la reazione alla grande frustrazione della rinuncia del figlio, che in altri momenti avrebbe inesorabilmente scatenato quell’angoscia di castrazione e provocato la crisi psicotica, si è trasformata in un’ansia creativa che ha fatto nascere il libro. Una creatura che anch’io amo molto perché ha in sé la sacralità della forza che scaturisce dal superamento di tante esperienze dolorose e che va verso la vita.

Anna Nazzarena Nardini

Vincere Barbablù